Senza lievito, ma quando?

Lezione di arte bianca n. 74

A settembre 2020 come testata giornalistica abbiamo pubblicato un articolo a firma C. Pressore studente STA (lo trovate a questo link https://www.quotidiemagazine.it/archivio/2020/numero-9-settembre-2020/vegetali-fermentati-claudio-pressore-studente-sta/articolo_view) nel quale si sottolineava come le tanto sbandierate fermentazioni spontanee fossero effettivamente  note dalla notte dei tempi ma nel contempo altrettanto, dalla stessa notte dei tempi,  sotto poste a processi  tecnologici atti a prevenire lo sviluppo di una microflora alterante.

Questo discorso vale per tutti gli ambiti ma soprattutto per frutta e verdura in cui si lavora con una microflora endogena, tanto varia quanto poco conosciuta al grande pubblico, rispetto ai “classici” e noti patogeni .

Parlare di sicurezza igienica assoluta nelle incontrollate fermentazioni spontanee (in qualsiasi ambito alimentare ci si voglia riferire) è una forzatura scientifica  grave salvo che non ci si riferisca a fermentazioni spontanee, stabilizzate e rigorosamente controllate da un punto di vista microbiologico e produttivo mediante, per esempio, specifici inoculi salini (salamoia), starter microbici, additivi, impiego di acidi, regolazione di temperatura ecc.

Ogni fermentazione spontanea ,che parta come tale nel settore alimentare (pane, pizza compresa), subisce nell’arco delle ore una modifica della microflora fino all’ottenimento della stabilità microbica specifica e desiderata  per quel particolare prodotto e profilo sensoriale.

Nell’ambito della specificità e complessità della microbiologia enologica tanto citata (qualche volte a sproposito) proprio quando si faceva riferimento a particolari tecniche, adottate nel settore dell’Arte Bianca, per usare gli illeciti claim “senza lievito” o “senza lievito aggiunto”, sono un chiaro esempio di come la spontaneità microbica sia variabile e si evolva con il passare del tempo.

In realtà, l’iniziale e generica “fermentazione spontanea” in enologia non è altro che un processo microbiologico molto complesso, che dipende, oltre che dalla composizione chimica del mosto, dall’intervento simultaneo di microrganismi fisiologicamente e biochimicamente differenti, rappresentati da lieviti, muffe, batteri (principalmente lattici e acetici) che si trovano sulla superficie esterna degli acini; si stima che sulla superficie dei grappoli la popolazione microbica raggiunga valori di 103-105 UFC/g.

In generale, la concentrazione cellulare dei lieviti riscontrati sugli acini immaturi è piuttosto bassa (10-103 UFC/g), ma con il progredire della maturazione la popolazione raggiunge 104-106 UFC/g.

 

La biodiversità e la carica dei microrganismi in vigneto e quindi sulle uve sono fortemente dipendenti da:

  • Stato sanitario delle uve,
  • Temperatura
  • Trattamenti antiparassitari effettuati

 

Sui grappoli maturi Hanseniaspora spp. (e la sua forma imperfetta Kloeckera) e Metschnikowia spp. sono i lieviti predominanti, rappresentando il 50-75% circa della popolazione blastomicetica totale.  Numericamente meno prevalenti di questi lieviti sono le specie di Candida (C. zemplinina), Debaryomyces, Dekkera, Issatchenkia, Kluyveromyces, Pichia, Rhodotorula, Saccharomycodes, Schizosaccharomyces, Cryptococcus, Sporidiobolus, Torulaspora e Zygosaccharomyces.

Il più noto agente della fermentazione alcolica, il S. cerevisiae è, invece, presente inizialmente in concentrazioni molto basse.

I fattori che potrebbero spiegare la diversa frequenza delle specie sono rappresentati da:

 

– Compatibilità per fattori di tipo fisiologico e biochimico delle diverse specie con la composizione chimica della superficie delle uve (ad esempio l’adesione attraverso la pruina e la capacità di metabolizzare i composti presenti).

 

– Tolleranza agli  stress ambientali, come la temperatura, l’irradiazione, la luce solare, la siccità.

 

– Tolleranza a sostanze inibitorie di natura chimica, provenienti dal grappolo stesso oppure ritrovate in seguito all’impiego di composti chimici in agricoltura.

 

– Fenomeni d’interazione con altre specie (lieviti, batteri e funghi filamentosi) soprattutto lievito-lievito.  Questo è, per esempio, il caso del lievito M. pulcherrima, molto frequente sulle uve, che svolge un’azione inibitrice nei confronti di numerosi microrganismi, a seguito della produzione di un pigmento insolubile (pulcherrimina), che impoverisce il mezzo di ferro.  La sua azione antimicrobica è esercita su molti specie ma non su S. cerevisiae.

 

In conseguenza di ciò, solo nelle primissime ore di fermentazione, nel mosto ci si aspetta di ritrovare, come microflora dominante, la stessa presente sulle uve. Con il passare dei giorni, questa varierà sensibilmente dall’”ammostatura” fino alla fase finale di “dominio del S. cerevisiae”, generando una microflora evolutiva completamente differente da quella iniziale.

Ecologicamente, l’intero processo prevede lo sviluppo sequenziale di alcune specie di lieviti, che saranno man mano sostituite con altre più adatte in funzione della modifica delle condizioni del substrato, fino a quando non si creerà lo status ottimale per lo sviluppo solo di poche specie, in prevalenza S. cerevisiae.

Nella fase intermedia cioè quella a “dominio non Saccharomyces “ si alternano specie in base alla differente resistenza all’etanolo.  M. pulcherrima soccombe oltre il 4-5% di etanolo, mentre alcune specie di Candida e soprattutto H. uvarum possono sopravvivere fino al 6-8%.   A  queste  concentrazioni inizia  la rapida crescita di S. cerevisiae che diventerà gradualmente la specie dominante.

 

La matrice mosto-vino  ospita, in realtà, una biodiversità microbica molto variegata.

Durante la trasformazione del mosto d’uva in vino numerose specie di lieviti e batteri con metabolismo specifico intervengono nelle varie fasi del processo e concorrono a questa trasformazione.

Durante il processo di vinificazione questa biodiversità tende inesorabilmente a ridursi e dalle numerose specie presenti sulla superficie dell’uva  nelle prime fasi fermentative si passa a una progressiva diminuzione del loro numero, con l’aumentare del tenore di etanolo che rappresenta il principale fattore limitante durante la fermentazione.

 

Inoltre, l’aggiunta di anidride solforosa svolge un’ulteriore e importante azione selettiva, inibendo in particolar modo i microrganismi ossidativi indesiderati.

In questa matrice, con il procedere della fermentazione si assiste alla diminuzione dei lieviti non-Saccharomyces, con la predominanza di S. cerevisiae al termine del processo.

Con l’aumento della concentrazione alcolica nel mosto in fermentazione, le condizioni ambientali diventano progressivamente più restrittive per lo sviluppo dei lieviti non-Saccharomyces, consentendo in tal modo ai lieviti del genere Saccharomyces, dotati di un maggiore potere alcoligeno, di prendere il sopravvento e di portare a termine il processo fermentativo.

I lieviti più alcoligeni sono quelli sporigeni e fra questi, in particolare, i ceppi vinari della specie S.cerevisiae, che per la maggior parte esibiscono potere fermentativo superiore a 14% di etanolo.

I fattori quindi che influenzano l’evoluzione dei lieviti possono essere di diversa natura:

 

  • Chimica: pressione osmotica, nutrienti, zuccheri, anidride solforosa, composti dell’azoto, ossigeno, vitamine, elementi minerali, acidi organici, metaboliti, etanolo, CO2, acidi organici;
  • Fisica: temperatura, pressione osmotica;
  • Biologica: composizione della popolazione iniziale, interazioni con altri microrganismi in particolare mediante il quorum sensing e i meccanismi cellula – cellula.

 

Tornando quindi alle affermazioni iniziali e ai cliam tanto abusati quanto illeciti, siete proprio sicuri che, in panificazione, la frutta (uva, ecc.) fermentata nelle bottiglie/vasi con acqua zuccherata con la tecnica Wild Yeast Water non contenga “lieviti”?

Le evidenze microbiologiche enologiche e i verbali fatti ai professionisti artigiani panificatori e pizzaioli raccontano tutta un’altra storia. Basta con le buffonate scientifiche del “senza lievito”, del “senza lievito aggiunto” e delle “fermentazioni spontanee” in arte bianca; nel settore alimentare tutte sono tecnicamente delle fermentazioni spontanee.

 

https://www.researchgate.net/publication/327744822_I_lieviti_dell’habitat_viticolo-enologico

Dott.ssa Simona Lauri

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