Il periodo della produzione degli alimenti ha avuto inizio tra 8000 e 10000 anni fa e con molta probabilità i problemi derivanti dall’alterazione degli alimenti e dalle prime intossicazioni alimentari sorsero già all’inizio di questa fase storica.
Con l’avvento della preparazione del cibo, fecero la loro comparsa le malattie trasmesse dagli alimenti per contaminazione oppure per impropria conservazione già dal 6000 a.C.
La prima testimonianza della produzione della birra risale all’antica Babilonia intorno al 7000 a.C., mentre i Sumeri e gli Egiziani, si ritiene, siano stati i primi, verso il 3000 a.C. a praticare, su grande scala, l’allevamento del bestiame e la produzione di latte così come burro, carni, pesci salati, grasso, pelli essiccate, frumento e orzo.
Tra il 3000 e il 1200 a.C. gli Ebrei fecero uso del sale del Mar Morto per la conservazione di diversi alimenti; il pesce salato faceva parte della dieta degli antichi cinesi e Greci dai quali appresero i Romani. Il vino era già noto agli Assiri fin dal 3500 a.C., mentre i Babilonesi e i Cinesi producevano salsicce fermentate già nel 1500 a.C.
Con molta probabilità il primo a suggerire il ruolo dei microrganismi nell’alterazione degli alimenti fu Kircher nel 1658, ma fu Spallanzani nel 1765 a comprendere l’azione della “bollitura” sulla distruzione dei microrganismi nel campione di brodo di carne da lui esaminato.
Nel 1810 un cuoco francese Appert mise appunto un metodo per garantire la vita commerciale degli alimenti solidi in scatola, mediante inscatolamento e trattamento termico successivo: l’appertizzazione. Appert segnò inconsapevolmente la nuova Era dei trattamenti termici in grado di garantire la conservazione degli alimenti in scatola, ma solo Pasteur fu il primo a comprendere il ruolo dei microrganismi negli alimenti. Nel lui che nel 1860 spiegò al mondo i dettagli dell’appertizzazione e a tramandare ai posteri la pasteurizzazione come unico trattamento in grado di garantire la distruzione delle forme microbiche all’interno degli alimenti.
Il 1900 fu il secolo che vide la comparsa del benzoato di sodio, di radiazioni ionizzanti, dell’impiego dell’antibiotico nisina per controllare i difetti causati dai clostridi nei formaggi stagionati, dell’acido sorbico per conservare gli alimenti, ecc. Queste innovazioni “positive” andarono di pari passo con quelle che furono le scoperte “negative” abbinate a nuove forme microbiche alteranti e alla loro resistenza ai trattamenti termici soprattutto le forme sporigene (B. fulva 1933) o, nel 1820, quando Kerner parlava di “avvelenamento da salsiccia”.
Da questo si può dedurre quanto non sia vero che non esista bibliografia scientifica che attesti le morti per consumo di alimenti; la prima descrizione scientifica risale proprio a J.Kerner nel 1820. Questo non vuol dire che prima non ci fossero casi d’intossicazione, infezione o tossinfezioni alimentari con decessi, ma solo che non c’è letteratura antecedente il 1820.
I secoli passavano inesorabili e il problema della sicurezza sulle matrici alimentari diventò imprescindibile tant’è che, nel 1960, furono codificate una serie di procedure atte ad analizzare e ridurre l’hazard nei cibi; nacque il metodo HACCP riconosciuto universalmente come l’unico, il più affidabile e il più sicuro.
Ogni azienda alimentare micro, media e grande che sia, dalla più piccola pizzeria d’asporto al panificatore artigiano, dalla friggitoria alla grande impresa, ad esclusione chiaramente delle produzioni casalinghe, si deve attenere ai principi riportati nel Reg CE 852 / 04 e successive modifiche e integrazioni.
HACCP, se applicato correttamente, è un approccio sistematico per l’identificazione del pericolo e la valutazione/controllo del rischio connesso alla produzione dell’alimento, ma non elimina totalmente la probabilità che tale rischio si possa presentare e quindi l’eventualità che si possa produrre un alimento pericoloso per la salute del consumatore. Garantisce un elevato livello di sicurezza alimentare, ma nello stesso tempo ha una percentuale d’insuccesso che dipende unicamente dall’accuratezza adottata nell’applicabilità da parte dell’operatore, dagli strumenti utilizzati, da inevitabili e intrinseche variazioni del processo che non permettono, qualche volta, di identificare a priori e prevedere specifiche cause alterative.
Tutte le matrici animali o vegetali, in base alla loro origine, presentano, sempre e comunque, una carica microbica endogena che potrà o meno alterare il prodotto in questione. Ciò che determina la crescita e lo sviluppo di microrganismi alteranti dipende sia da parametri intrinseci (pH, aw, Eh, contenuto di nutrienti, contaminazione iniziale, struttura biologica e costituenti antimicrobici) sia da quelli estrinseci come:
- Tecniche di processo e conservazione.
- UR
- Presenza di ingredienti (sali, zucchero, conservanti ecc.)
- Presenza e concentrazione di gas
- Presenza e attività di altri microrganismi, ecc.
Con il termine generico di “microrganismo” s’intende un’estrema variabilità di organismi, facente parte di diverse categorie (virus, batteri, funghi, lieviti, protozoi, alghe verdi, muffe), molto diversi tra loro e accomunati unicamente dalle dimensioni di qualche micron (1µm = 10 -6 m)
Tutti questi microscopici esseri viventi, si possono ulteriormente classificare in due grandi categorie per similitudine di caratteri morfologici e non solo:
- PROCARIOTI: organismi semplici il cui materiale genetico si colloca in diverse parti della cellula.(batteri ecc.)
- EUCARIOTI: organismi che presentano dimensioni maggiori e un genoma maggiormente complesso. (lieviti, muffe ecc.)
La maggior parte della contaminazione microbiologica di una matrice (esogena o endogena che sia) è tenuta sotto controllo unicamente dal rigoroso rispetto del protocollo HACCP e dai processi produttivi, soprattutto se abbinati a trattamenti termici di “sanificazione”, cottura compresa. Nonostante questo, però, le spore microbiche, le ascospore e alcuni microrganismi termoresistenti possono non essere distrutti causando di conseguenza “perdite” commerciali di prodotto. Una delle cause più comuni è rappresentata, proprio da un non opportuno mantenimento del rapporto temperatura/tempo nei trattamenti termici, anche in quei prodotti con pH<4,0 proprio perché il pH è ininfluente sulla disattivazione della spora.
Attualmente, in alcune realtà artigianali, come panifici e pizzerie, oltre ai classici ingredienti farina, sale, lievito, malto, zucchero, uova, latte (derivanti da aziende che a loro volta applicano il protocollo HACCP), si utilizzano materie prime provenienti dai “freschi di I gamma” (ortaggi di superficie, frutta, tuberi) la cui carica microbica endogena iniziale dipende da: ambiente, aria, tipologia di superficie (rugosa o liscia), zona di coltivazione, contatto con il terreno ecc.
Enterobatteri, parassiti, virus e i generi Salmonella, Shigella e Vibrio colerae, L. monocytogenes, Pseudomonas fluorescens, Acromobacter, Aerobacter, Alcaligenes, Bacillus, Chromobacterium, Flavobacterium, Lactobacillus, Streptobacterium, Leuconostoc, Xantomonas, Staphylococcus, Micrococcus, Sarcina, Serratia, tra le muffe: Botrytis, Cytospora, Rhizopus, Fusarium, Cladosporium, Alternaria, Phytophora infestans, Byssochlamys nivea e Byssochlamys fulva, Neosartorya fischeri, Talaromyces flavus e alcune specie di Eupenicillium vanno quindi ad aggiungersi ai contaminanti primari delle comuni materie prime tra cui B.subtilis (mesentericus), B. licheniformis, B. cereus, B.clausii, B. firmus, P. polymyxa ecc., presenti proprio negli sfarinati.
Molte di queste forme microbiche sono sporigeni aerobi, altri invece producono ascospore e micotossine.
Per quanto riguarda le forme sporigene, in mancanza di nutrienti e/o in condizioni non ottimali per la crescita, la cellula vegetativa, per sopravvivere, si differenzia in spora (SPORULAZIONE). Al ripristinarsi delle condizioni favorevoli per l’accrescimento, se la spora non è stata distrutta, si originerà nuovamente la cellula vegetativa (GERMINAZIONE) e la “contaminazione” prenderà vita.
La spora è più piccola della cellula madre ed è dotata di strutture estremamente solide.
Centralmente possiede un CORE rivestito da una serie d’involucri che:
- apportano robustezza, resistenza e impermeabilità.
- rimuovono osmoticamente l’acqua (aumentano la disidratazione) proteggendo la struttura interna dai danni del calore e dall’irraggiamento.
- contengono dipicolinato di calcio DPA (1) che aumenta la termoresistenza.
- proteggono dagli agenti enzimatici e sostanze chimiche come acqua ossigenata ecc.
Appare quindi evidente come le spore siano le forme di vita più resistenti, più longeve in assoluto proprio per le caratteristiche di elevata resistenza a:
- Agenti chimici, enzimatici e fisici.
- Bassissimi valori di pH
- Calore
- Essiccazione
- Radiazioni (UV, raggi x, raggi g)
- Congelamento (scarso contenuto in H2O)
- Disinfettanti (complessità degli involucri sporali)
- Bassa concentrazione di ossigeno, elevata concentrazione di anidride carbonica per alcune specie ( fulva, B. nivea, B. subtilis, A. fischerianus, ecc.)
In generale, il settore dell’arte bianca non è quindi immune a un’eventuale presenza di microrganismi che, se presenti, potrebbero creare problemi di alterazione del prodotto finale e pericoli per la salute pubblica; il rischio microbiologico è rappresentato proprio da microrganismi ubiquitari, muffe, micotossine, ascospore, sporigeni in generale ecc.
Purtroppo la pratica comune e la bibliografia scientifica confermano tale rischio identificando quelle che, pur rispettando il protocollo HACCP, possono identificarsi come le alterazioni microbiologiche tipiche del PANE per resistenza delle forme sporigene, ascospore, ecc., a tutte le fasi processo.
Non sono quindi rare nel settore, le alterazione microbiologiche conosciute come:
- Pane filante causata da Bacillus subtilis , ma anche panis, B. licheniformis B. megaterium e B. cereus
- Pan di gesso ” o “mal della Creta” da sviluppo di Endomycopsis fibuliger e da specie genere Thricosporon
- Pane “rosso” o bloody bread da Serratia marcescens e Oidium aurantiacum.
- Sviluppo di colonie variamente colorate: rossa Neurospora sitophila , nero Rhizopus nigricans, ecc.
Seppur la letteratura scientifica riporti come la condizione 3,7<pH<4,5 non consenta la sopravvivenza della maggior parte dei patogeni classici più conosciuti non cita, però in quelle condizioni, la sopravvivenza di muffe sporigene meno conosciute ma altrettanto pericolose (B. fulva ecc.), così allo stesso modo riporta l’inadeguatezza del valore del pH per la disattivazione delle forme sporigene.
E’ stato altresì dimostrato come nelle zuppe la resistenza termica delle spore Bacillus pumilus, B. licheniformis, B. subtilis, and B. megaterium sia risultata maggiore di quella prevista (2) per la viscosità del campione che elevava i valori di termoresistenza.
Non bastano quindi né il trattamento termico di cottura del pane né tanto meno dimostrare che a cuore si superano i 90°C (per quanto tempo?) per garantire la sicurezza igienico sanitaria e ridurre il rischio per la salute pubblica proprio perché, la complessità della matrice potrebbe modificare il rapporto temperatura/tempo di disattivazione delle spore, Prevenire, adottare e rispettare scrupolosamente HACCP restano le uniche soluzioni soprattutto nelle realtà artigianali mancanti della verifica e controllo del CCP sulle matrici in entrata soprattutto quando queste ultime sono “freschi di I gamma” casuali e non provengono da aziende che possano a loro volta garantire il protocollo.
Note
- Prodotto intermedio del metabolismo della lisina. E’ il componente basilare della spora e ne determina la sua termoresistenza. Il DPA è un chelante del Ca2+ (presente in elevata concentrazione nella spora matura) e come sale costituisce il 15% del peso secco della spora. Il Ca2+ si pone a ponte tra le varie molecole di DPA, formando complessi in grado di stabilizzare sia il DNA che le proteine sporali.
- Bacillus thermal resistance and validation in soups, A. Rodríguez-Lozano, M. Campagnoli, K. Jewel, F. Monadjemi and J.E. Gaze Campden BRI, Station Road, Chipping Campden, Gloucestershire GL55 6LD, United Kingdom
Suggerimenti di bibliografia per consultazione:
https://efsa.onlinelibrary.wiley.com/doi/abs/10.2903/j.efsa.2005.175
https://onlinelibrary.wiley.com/doi/abs/10.1111/j.1750-3841.2010.01566.x
https://www.sciencedirect.com/science/article/pii/0964830593900395
https://sfamjournals.onlinelibrary.wiley.com/doi/abs/10.1046/j.1365-2672.1998.853512.x
https://www.sciencedirect.com/science/article/abs/pii/016816059400147X
https://www.tandfonline.com/doi/abs/10.1080/00275514.1930.12017013?journalCode=umyc20
https://www.nature.com/articles/422821a?draft=collection
Dott.ssa Simona Lauri