Relazione Convegno “Arte Bianca: fake news, disinformazione, reati e sanzioni” tenutosi c/o Camera di Commercio di Pescara organizzato da FIESA CONFESERCENTI NAZIONALE, ASSOPANIFICATORI con crediti formativi per Giornalisti e Tecnologi Alimentari.
“E’ più facile spezzare un atomo che un pregiudizio” (A. Einstein)
Di fake nel settore dell’arte bianca ce ne sono tantissime, messe in rete appositamente per farle amplificare dal web. Da dove iniziamo? Questa è una bella domanda. Trovare il bandolo della matassa è un’impresa ardua, figuriamoci cercare di contenere la disinformazione, ma soprattutto le fake.
Utilizzando il web, si entra nel meccanismo esasperato che, Chi scrive una fake o una disinformazione e riesce a divulgarla in maniera “virale”, questa diviene, in breve tempo, (dipende dalla bravura e notorietà dell’influencer, dai followers, dalle condivisioni sui social, ecc.) purtroppo opinione comune, consolidata, cosa risaputa, nota, scontata a tal punto che più nessuno si pone l’obbligo della “verifica della fonte”, più nessuno si pone il dubbio, più nessuno si fa domande proprio perché… “lo dicono tutti ed è risaputo”. E’ così risaputa che deve essere per forza vera e legale. Invece, purtroppo NO!
Partiamo dal caso delle farine. E’ abbastanza comune sentire o leggere “Farina semintegrale” oppure “farina integrale” (senza la specifica del cereale), così comune che alcune aziende molitorie riportano sui sacchi (commettendo una palese frode in commercio) la dicitura “farina semintegrale” o “farina integrale” senza la specifica o l’evidenziazione obbligatoria del cereale frumento/grano per di più “allergene” secondo il Reg Ue 1169/11. La farina semintegrale che cos’è? Non esiste assolutamente! Cosi come non esiste il Kamut come cereale. Non solo ma si sente e purtroppo si legge anche sui sacchi che la Farina 0 (riportata così, con la non corretta denominazione di vendita secondo il DL187/01 ecc.) macinata a pietra è differente da quella macinata a cilindri, arrivando a elencarla due volte nell’elenco degli ingredienti come se fossero due ingredienti differenti. L’opinione pubblica purtroppo contribuisce a incrementare le fake e alcune aziende, al posto di rispettare la normativa vigente, cavalcano l’onda della falsità violando norme italiane e comunitarie. Perché? Non conoscono la normativa del settore specifico, si affidano a consulenti che non conoscono a loro volta la legislazione, non sono a conoscenza di cosa rischiano a livello di sanzioni pecuniarie o vogliono consapevolmente cavalcare l’onda del marketing del momento, del business, delle fake per loro tornaconto personale?
Non è infrequente leggere diciture come: “Il cereale del benessere, della lunga vita, della salute ecc.” dimenticandosi che il venditore commette un reato quando fa uso dei claim che incitano al benessere, alla salute e alla lunga vita (art. 3 Reg Ce 1924/06, DL 145/07 art. 2 – 3, Codice del consumo DL 206/05 art. 20 comma 2 e art21, ecc.) ma a sua volta il consumatore è un allocco che crede ancora alle favole che il benessere e la lunga vita si acquistino come il pane.
Sempre nell’ambito delle farine, si è assistito alla demonizzazione mediatica della farina Tipo 00 a favore di un’informazione non oggettiva riguardante la farina integrale di grano tenero a tal punto da accusare la farina Tipo 00 di essere un veleno e di apportare malattie di qualsiasi genere, tumori inclusi.
Non parliamo delle mode fai da te o dello pseudo status symbol del “gluten free” solo come moda, tendenza e non esigenza. Questa convinzione del gluten free is good spinge i produttori di qualche cereale di nuova o vecchia generazione (antichi o moderni o storici che dir si voglia) a scrivere sui sacchi “ a basso contenuto di glutine” utilizzando un claim non solo non lecito secondo il Reg. 828/04 (riservato espressamente ai prodotti a “contenuto di glutine molto basso” e non superiore a 100 mg/Kg), ma scorretto e molto ingannatore. A basso contenuto di glutine rispetto al frumento ecco dov’è l’inganno per cui il secondo termine di paragone che è il frumento, un cereale che notoriamente contiene gliadine e glutenine per cui assolutamente non idoneo per l’alimentazione di persone che presentano problematiche inerenti all’assunzione di sfarinati con gliadine o prodotti con glutine.
Lo scenario è così vasto che nella disinformazione massiva s’inserisce anche qualche medico che ritiene che molte patologie, legate alla disbiosi intestinale, gonfiore, ecc., siano attribuibili al lievito usato nelle panetterie o nelle pizzerie.
Il lievito di birra fresco usato nei laboratori come panetterie, pizzerie, pasticcerie è un ascomicete sporigeno le cui cellule muoiono a 45 – 50°C per cui non può essere introdotta nessuna cellula viva, mangiando un pezzo di pane o pizza, che può raggiungere il lume intestinale e operare la fermentazione alcolica con produzione di anidride carbonica. Sono ben altre le cause, ma questo è il compito primario di un medico fare sia la diagnosi e sia la cura senza inventarne di assurde e fantasiose, nel pieno rispetto di chi effettivamente mostra una reazione allergica ad alcune proteine di membrana di questo blastomicete.
In quest’ottica di fake mediche che consigliano l’assunzione di prodotti senza lievito, s’inserisce la ricerca spasmodica dei prodotti lievito free da parte dei consumatori proprio perché consigliati dal medico. I prodotti realizzati con la madre o lievito di pasta acida naturale non garantiscono assolutamente l’assenza del lievito S. cerevisiae anzi la bibliografia scientifica in proposito rileva sempre la presenza del S. cerevisiae nella madre e la simbiosi stretta con alcuni LAB. In nessun laboratorio artigianale di panetteria, pizzeria, pasticceria è possibile servire prodotti realizzati che possano essere definiti senza lievito perché il lievito è, dopo la farina e l’acqua, la materia prima caratterizzante e ogni attrezzatura, strumento, locale ecc., è significativamente contaminato dalle spore che possono dare origine alla forma vegetativa nel momento in cui contaminano una massa di acqua e farina e la dicitura è illegale (art.14 Legge 580/67, art. 8 DPR 502/98, Premessa 16,art.3, art.6, Reg UE 1924/11 (art.3 D.L 27/17), Art.4, art.7 comma b, art.36 comma 2 par a – b – c, Reg.Ue 1169/11, (DL 231/17), Art.2 comma b , art. 3 comma1 sottocomma a e b, art.6 DL 145/07, Art. 20 comma 2, art. 21 DL 206/05).
Per la tutela legale dell’azienda e del responsabile oltre che per la primaria salute dei veri allergici da parte degli OSA panificatori, pizzaioli artigiani, NON è possibile commercializzare prodotti “senza lievito”, “senza lievito aggiunto” proprio perché tecnologicamente e microbiologicamente sono massive le contaminazioni incrociate. La situazione è fattibile solo ed esclusivamente in quelle realtà industriali all’avanguardia che, non solo non lo introducono come materia prima, ma filtrano l’aria, si assicurano di campionarla microbiologicamente o addirittura lavorano nelle cosiddette “camere bianche”.
Nella bufala immensa del “senza lievito”, si sono inseriti altrettanti personaggi millantatori fake/bufala, con solo due/tre anni di studio dopo la terza media o con un diploma di perito (senza offesa per nessuna professione!), che utilizzano illecitamente il titolo accademico di “Tecnologo alimentare” o aziende che presentano i loro “Tecnologi alimentari” fake/bufale quando fanno corsi e insegnano agli artigiani panificatori la bufala del “senza lievito”. Sollecito quindi tutti, a verificare immediatamente il titolo accademico e contribuire a smascherare gli impostori. La verifica del titolo accademico (Legge n. 59/1994) è immediata sul link dell’Ordine Nazionale dei Tecnologi http://www.tecnologialimentari.it/it/registro-nazionale-iscritti/; se non c’è nessun riscontro nel registro nazionale, il personaggio e/o l’Azienda stanno divulgando una grandissima disinformazione.
La smania del Web alla ricerca del “senza lievito” porta quindi a commettere, da parte dei professionisti, dei reati sanzionati pesantemente nel momento in cui utilizzano i claim “senza lievito” e “senza lievito aggiunto” diffusi insieme a tecniche altrettanto sanzionabili, denominate fermentazione spontanea con Wild Yeast Water nate proprio in questo contesto e tali da meritarsi proprio il titolo di “Hazard” dall’acronimo HACCP.
Si ricorda a tutti i consumatori che tali tecniche, in arte bianca, implicano l’utilizzo di bottiglie con acqua e zucchero nelle quali si sviluppa liberamente, spontaneamente e non controllata, una microflora molta ampia di microrganismi tra i quali vi possono essere: lieviti S. cerevisiae ecc., batteri, batteri patogeni classici, lieviti e muffe (attività pH<2,0 e microaerofilia), patogeni non comuni e poco conosciuti ma altrettanto pericolosi, micotossine, spore, virus, ecc., tali da creare situazioni igieniche non consone al protocollo HACCP, oltre alla specifica presenza di S. cerevisiae.
Contrariamente a quello dichiarato nel claim usati in questi casi “senza lievito”, “senza lievito aggiunto”, il lievito lo contengono sempre e possono far insorgere reazioni allergiche molto pericolose in soggetti con reali problematiche.
Tra i tanti ruoli/compiti svolti dal Tecnologo Alimentare (titolo accademico e non fake) vi è quello dell’applicazione del sistema di HACCP e delle azioni da adottare nel caso in cui si presenti un CCP. Nel settore alimentare, la ricezione delle materie prime, è un CCP per tanto, in una situazione di non conformità iniziale, come l’utilizzo di matrici alimentari di frutta e verdura varia in fermentazione spontanea, incontrollata, libera in acqua e zucchero, non si possono adottare le azioni di controllo del CCP nell’autocontrollo aziendale. Si ricorda inoltre che il protocollo di autocontrollo HACCP è obbligatorio per gli OSA a qualsiasi livello, ma non interessa i prodotti casalinghi e domestici per cui, in casa propria, ognuno è libero di fare ciò che vuole.
La tecnica delle fermentazioni spontanee è quindi sanzionabile e chi risponde davanti alla legge è solo e unicamente il responsabile e/o titolare del panificio o pizzeria e non altri soggetti. Chiaramente ognuno è libero di porsi davanti alla legge come meglio crede, ma Ignorantia legis non excusat (letteralmente “L’ignoranza della legge non scusa” ma liberamente “La legge non ammette ignoranza”) e pertanto il “non lo sapevo” non può essere materia di difesa soprattutto in un’epoca d’internet, web, motori di ricerca, gruppi social, piazze virtuali in cui la comunicazione corre velocissima.
Dott.ssa Simona Lauri